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Categoria: Giurisprudenza

La copia cartacea dello screenshot ha valore di prova

Con questa pronuncia la Corte di Cassazione ha definito utilizzabile e attendibile la copia delle schermate di un sito internet su cui erano stati pubblicati degli articoli a contenuto diffamatorio. A supporto della propria decisione la Corte ha affermato che l’estrazione di dati archiviati su un supporto informatico non costituisce un accertamento tecnico irripetibile.

Corte di Cassazione, sezione penale V, sentenza n. 8736

Pareri legali: ok del Consiglio al diritto di accesso per fini difensivi

Il Consiglio di Stato ha riconosciuto l’accesso a pareri legali, evidenziato che – nella decisione sull’istanza del richiedente – è sempre necessario valutare con particolare attenzione le ragioni dell’accesso, che deve essere riconosciuta quando il rilascio di documentazione è richiesto in funzione difensiva. I Giudici di Palazzo Spada hanno chiarito che, nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile.

Consiglio di Stato, Sezione 3, sentenza n. 2890

I programmi informatici creati dal dipendente – anche al di fuori dell’orario di lavoro – non possono portare ad un ingiustificato arricchimento dell’ente

La Corte di Cassazione, nel caso specifico, ha affrontato il tema di un possibile ingiustificato arricchimento dell’ente a seguito della creazione di specifico software da parte di un dipendente. La Suprema Corte ha evidenziato che il principio generale per l’attribuzione del diritto di autore e quello dello sfruttamento economico della creazione di programmi informatici è mitigato dall’attribuzione al datore di lavoro del diritto di utilizzazione esclusiva del programma o della banca dati a condizione che l’opera sia riferibile all’esercizio delle mansioni del dipendente o sia stata creata a seguito di istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro.

Corte di Cassazione, Sezione Civile, Sentenza n. 8694/ 2018

Firma digitale: i formati Cades (.p7m) e Pades (.pdf) sono equivalenti

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate su una questione molto discussa negli ultimi mesi. In particolare, la Corte ha enunciato il principio di diritto per cui – secondo il diritto dell’UE e le norme, anche tecniche, di diritto interno – le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES, sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf>. Di conseguenza, devono essere riconosciute entrambe valide ed efficaci, anche nel processo civile, senza eccezione alcuna.

Corte di Cassazione, Sezioni unite, sentenza n. 10266/2018

Nulla la notifica via PEC se manca l’attestazione di conformità

La Sesta sezione Corte di Cassazione ha affermato che, nel caso in cui  la sentenza impugnata è stata notificata a mezzo PEC e il ricorrente ha depositato solo una copia analogica del provvedimento impugnato e della relata effettuata per posta elettronica, il ricorso è da ritenersi improcedibile perché non è soddisfatto l’onere di deposito della relata di notifica.

Corte di Cassazione, Sez. VI civile, ordinanza n. 5588/2018

Le e-mail hanno valore di prova solo se sottoscritte con firme elettroniche “forti”

Le email hanno valore probatorio solo se debitamente sottoscritte: lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5523/2018 su un procedimento relativo a licenziamento per giusta causa. Nella pronuncia la Corte ha chiarito che il messaggio di posta elettronica è riconducibile alla categoria dei documenti informatici, ma per quanto riguarda l’efficacia probatoria dei documenti informatici, la normativa attribuisce l’efficacia della scrittura privata (prevista dall’articolo 2702 del cod. civ.) solo al documento sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale. Al contrario è liberamente valutabile dal giudice l’idoneità di ogni diverso documento informatico (come l’e-mail tradizionale) a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile,  sentenza n. 5523/2018

L’indirizzo PEC presente nell’Indice delle Pubbliche Amministrazioni può essere utilizzato per le notifiche

Nel caso in cui l’Amministrazione non abbia inserito un indirizzo Pec nell’elenco tenuto dal Ministero della giustizia, deve essere riconosciuto l’errore scusabile ex art. 37 c.p.a. se la notifica per via telematica del ricorso è stata effettuata ad una Amministrazione all’indirizzo Pec tratto dall’elenco pubblico IPA. Il Tar Campania ha affermato che l’indirizzo PEC presente in IPA non è del tutto inidoneo alla notifica di atti giudiziari alle Amministrazioni pubbliche, in quanto, ad esempio, viene considerato valido per la notifica agli enti impositori nel processo tributario, ai sensi dell’art. 7, comma 5, d.m. n. 163 del 2013, con effetti potenzialmente fuorvianti in sede interpretativa anche per altri riti processuali, quale quello amministrativo, soprattutto in mancata iscrizione dell’ente nel registro Pec tenuto dal Ministero della giustizia. Pertanto, ha ritenuto che sussistessero i presupposti per una rimessione in termini ai fini del rinnovo della notifica.

Tar Campania, Sez. VIII, sentenza N. 01653/2018

Le linee guida ANAC in materia di trasparenza sono vincolanti?

Il Tar Lazio si è pronunciato sulla richiesta l’annullamento della determina ANAC avente ad oggetto le Linee guida «Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali» nella parte in cui precisa che “le presenti Linee guida costituiscono linee di indirizzo anche per gli ordini professionali, sia nazionali che territoriali”. Il collegio, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha evidenziato che le Linee guida risultano un atto di indirizzo e supporto e ha escluso che abbiano una immediata portata precettiva. Di conseguenza, le stesse possono essere oggetto di impugnazione avanti al giudice amministrativo solo unitamente all’atto specifico che, in applicazione di tale indirizzo ove recepito, incida in maniera puntuale sulla posizione giuridica del destinatario.

Tar Lazio-Roma, Sez. I, sentenza n. n. 01735/2018

L’accesso agli atti va sempre garantito per procedure interne finalizzate al conferimento di incarichi dirigenziali

Il TAR Lazio ha evidenziato che ogni qualvolta l’inadempimento di un obbligo dipenda dai malfunzionamenti degli apparati informatici della PA., tale circostanza non è attribuibile alla responsabilità dell’utente. Nel caso di specie, un cittadino a causa di un malfunzionamento dei server dell’amministrazione, si è trovato nella situazione di impossibilità materiale di dare riscontro positivo alla proposta di lavoro entro il termine perentorio previsto, non riuscendo ad effettuare l’accesso al servizio on line.

TAR Lazio-Roma, Sezione III-bis, sentenza n. 2254/2018

Diffamazione attraverso Facebook: la sentenza è nulla se non è accertato l’indirizzo IP

Con la sentenza 5532/2018 la Corte di Cassazione si è pronunciata, accogliendolo, sul ricorso di un imputato condannato per diffamazione di un pubblico ufficiale in virtù un messaggio diffuso su Facebook. L’imputato, in particolare, tra i motivi dell’impugnazione segnalava l’assenza della  verifica da parte dell’autorità giudiziaria dell’indirizzo Ip di provenienza. Nella pronuncia la Corte ha valutato se, quindi, sia stato rispettato il criterio legale di valutazione della prova. Secondo l’orientamento che emerge, per la condanna non è sufficiente attribuire rilievo alla provenienza del post da un profilo Facebook intestato all’imputato, e agli elementi di conflitto tra lo stesso e il pubblico ufficiale. Il mancato accertamento dell’indirizzo IP non consente di procedere con il massimo grado di certezza possibile all’attribuzione della responsabilità; sarebbe infatti anche possibile, sottolinea la Corte, un utilizzo abusivo del nickname dell’accusato. Si tratta di una pronuncia interessante anche con riferimento alla responsabilità per le condotte relative all’uso dei servizi on line delle pubbliche amministrazioni.

Corte di Cassazione, Sezione Penale n. 5, sentenza 5352/2018

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